Il programma politico di Potere al Popolo!

1. INTRODUZIONE

– Hai visto che sta succedendo? – Si dovrebbe fare qualcosa…
– Sì, ma cosa?

Quante volte abbiamo sentito queste parole, a scuola, sul posto di lavoro, al bar, nei trasporti pubblici? A volte vengono proferite sottovoce, quasi con ossequio, mentre gli schermi trasmettono le immagini della guerra in Ucraina, della distru- zione di Gaza; o con sbalordimento, di fronte ai propositi violenti di Trump e Musk. Altre volte il tono è più rabbioso: lo ripetono le persone strangolate dai processi di precarizzazione a cui non viene rinnovato il contratto, quelle che vedono delocalizzare la loro fabbrica, quelle che vivono in un quartiere in cui salgono gli affitti o in cui chiudono scuole e ospedali. Sono le stesse parole che pronunciamo di fronte all’ennesimo, inaccettabile femminicidio…

Le pensiamo, le diciamo. Sentiamo che si dovrebbe, anzi che si deve, che è sem- pre più necessario per la nostra vita: non riusciamo però a capire cosa fare. E come. Intuiamo che il mondo non deve andare per forza così, che ci sono tante cose che per fortuna vanno diversamente, che il futuro non è scritto. Ma a volte è difficile mettere in ordine i pensieri, fissare una visione complessiva, avanzare delle proposte articolate. Concentrati sulle miserie del presente non cogliamo la ricchezza del possibile. Così ci prende lo scoramento. E alla fine, non sapendo che fare, non facciamo niente. Che è proprio quello che vogliono quelli che, lassù in alto, stanno facendo.

In realtà si possono fare tante cose. E non dobbiamo per forza subire le decisioni di pochi.

Se ci pensiamo bene, l’umanità non ha mai avuto così tanti strumenti per risolvere i suoi problemi. Abbiamo davanti un mondo che potrebbe offrire

benessere e pace a tutti i suoi abitanti. Una natura ancora in grado di fiorire rigogliosa ed emozionarci, se solo decidessimo di difenderla, sottraendola alla speculazione e alla messa a profitto e costruendo finalmente un rapporto armo- nico tra società e ecosistemi. Una creatività umana che si manifesta nei modi più disparati, dalle bellezze dell’arte alla costituzione di un patrimonio culturale immenso e potenzialmente sempre più accessibile. La scienza ci permette di co- noscere meglio ciò che ci circonda, dall’infinitamente grande dello spazio all’in- finitamente piccolo dell’atomo; allo stesso modo, le innovazioni tecnologiche conferiscono all’umanità maggiori capacità di fronte alle sfide più ardue, come nel caso della cura delle malattie o del contrasto ai cambiamenti climatici. Siste- mi di intelligenza artificiale e forme di automazione già ora consentirebbero, se il carico sociale fosse redistribuito, di lavorare molto meno, invece di causare maggiore sfruttamento e disoccupazione…

E allora perché non possiamo beneficiare di questi giganteschi sviluppi e stare meglio? Perché quest’enorme crescita delle forze produttive a livello mon- diale, questa sempre maggiore socializzazione dei processi lavorativi e delle conoscenze, viene ovunque limitata da rapporti di produzione che impedisco- no a tutti di partecipare della ricchezza prodotta! Contratti, diritti di proprietà, posizioni di rendita, alleanze militari, agiscono per mantenere il predominio di una sola porzione di umanità. Tutto gira intorno al profitto privato. Così, paradossalmente, nel momento di maggiore ricchezza della storia dell’umanità, vediamo la fame dilagare in gran parte del mondo. Nell’era della maggiore co- municazione globale, crescono razzismi e conflitti. E praticamente ovunque i governi ostacolano i processi democratici che dal basso cercano di mettere in discussione questi rapporti, convincendo le persone che è più probabile che finisca il mondo ma non che finisca il capitalismo…

La crisi climatica e le catastrofi ecologiche che sono ormai sotto gli occhi di tutti, la pandemia che abbiamo visto solo cinque anni fa infestare tutto il pianeta, le guerre e in atto e quelle che si preparano, ci insegnano quanto sia- mo connessi, quanto respiriamo il respiro dell’altro, quanto non si possa essere indifferenti. Quanto in politica ne vada della vita, e quanto quindi ci sia bisogno ora più che mai di una politica seria, che metta al centro le nostre vite, il nostro essere sociale – di un nuovo socialismo, che non è una scelta ideologica, ma una necessità materiale, razionale, e persino morale.

Molte persone, in tutto il mondo, lo stanno scoprendo e si stanno mobili- tando. Spesso ottenendo dei risultati impensabili, cambiando le politiche di chi

governa o persino arrivando al governo, incidendo profondamente sulle loro società. Anche in Italia, nonostante la passività e il qualunquismo che sono state generate dalle nostre classi dominanti, ci sono migliaia di piccole resistenze, sperimentazioni, esempi di autorganizzazione popolare, di solidarietà. Certo, sono più piccole, frammentate, perché da decenni ormai il sistema politico e mediatico cerca di farle scomparire, di ostacolarle, a volte di reprimerle, perché nessuno osi pensare che si possa fare qualcosa di diverso… Eppure, nonostante tutto, queste realtà continuano ad aprire spazi di emancipazione.

Potere al Popolo! è parte di questo processo, è una comunità di persone che lavorano quotidianamente per rendere consapevole quel legame tra esseri umani che oggi è solo subìto, per rompere la passività, dare efficacia a pratiche e movimenti che già ci sono ma spesso sono separati, per consentire l’auto-rap- presentanza di persone e interessi che oggi non sono rappresentati. Siamo nati nel novembre del 2017 proprio mettendo insieme una galassia di comitati di cittadini, sindacalisti combattivi, collettivi studenteschi, centri sociali, attivisti e organizzazioni che non si riconoscevano nell’attuale politica e volevano unirsi per avere più forza. Volevamo uscire dal locale, dalla nostra singola questione, per arrivare a presentare al Paese un’alternativa di società. Perché non si può continuare da soli, perché ormai il livello del confronto – e lo vediamo chiara- mente con l’avanzare dell’estrema destra a livello mondiale, con la forza econo- mica, militare delle grandi potenze, con la pervasività di Big Tech – si è alzato così tanto che può essere retto solo se si è una forza politica organizzata, che sappia fare rete con altre forze.

Potere al Popolo! è un grido, un messaggio, per rimettere al centro della vita collettiva non le differenti élite o i differenti capitali ma una vera democrazia, che nella Grecia antica indicava proprio il potere del popolo. È un movimento che si basa sull’intuizione così semplice che “divisi siamo niente e uniti siamo tutto”, che la possibilità, la bellezza, la ricchezza sono già qui tra noi, ma non ci verran- no regalate da chi se le tiene strette: serve dunque uno strumento per rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di svilupparci appieno. Questo strumento non può che essere alternativo alla vecchia politica della destra e del centrosinistra, che in modi diversi ci hanno portato allo sfascio, deve fare tutto al contrario di quello che fanno i partiti al governo. Deve quindi essere innanzitutto al servizio delle classi lavoratrici che fanno andare avanti il Paese, deve ricostruire un po- polo che viene artificialmente separato al suo interno contrapponendo bianchi e neri, meridionali e settentrionali, uomini e donne, precari e tempi indeterminati. Deve avere il coraggio di sottrarsi alle pressioni che vengono dagli interessi eco-

nomici, speculativi, dalle piccole convenienze personali, e rimettere la politica sui territori, alimentando dibattiti, aiutando con il mutualismo la vita quotidiana delle persone, costruendo una nuova generazione che sappia cambiare in pro- fondità il nostro Paese.

Dal 2017 Potere al Popolo! ha aperto Case del Popolo da Nord a Sud, ha sostenuto tante lotte, ha eletto consiglieri combattivi, ha diffuso una cultura differente, che vuole spingere sempre di più le persone e le comunità verso la cooperazione e l’autonomia. A differenza degli altri partiti e organizzazioni, Potere al Popolo! ha cercato sempre di non porsi mai come fine in sé, ma come uno strumento per trasformare la realtà.

E questo è il senso del programma che avete tra le mani. Non è solo un elenco di misure che, se ci fosse un cambiamento radicale nel nostro Paese, si potrebbero immediatamente realizzare, migliorando la vita della stragrande maggioranza dei cittadini. Non è nemmeno la semplice raccolta di quello che da anni chiedono i movimenti sociali, i comitati ambientali, le lavoratrici e i la- voratori, che hanno accumulato un enorme sapere su come risolvere i problemi che vivono ogni giorno.

Questo programma è innanzitutto la dimostrazione che un’alternativa a que- sto sistema è possibile, senza guardare al passato: è l’immagine di un futuro migliore, che potremmo ottenere se ci organizzassimo e rimuovessimo punto per punto una serie di ostacoli che oggi vengono posti alle nostre potenzialità. È uno strumento per discutere, conoscere altri come noi, prendere consapevo- lezza, mobilitarci.

– Si dovrebbe fare qualcosa… – Sì, ma cosa?

Qui abbiamo provato a dare qualche risposta.

2. NOTA AL TESTO

Anche nello scrivere questo programma, abbiamo provato a fare tutto al contrario. Non siamo partiti dall’idea di una singola persona o di un ristretto gruppo di persone, da un’ideologia che si dovesse imporre alla realtà. Siamo partiti dall’a- scolto, dall’inchiesta. Sia dei soggetti reali che intendiamo coinvolgere, sia dei movimenti sociali e dei gruppi di cittadini che si sono attivati in questi anni, degli esperti che da tempo lottano per migliorare un settore o un aspetto della nostra vita sociale.

È stato a fine agosto del 2024, durante il Pap Camp tenuto a Paestum, che abbiamo pensato che era venuto il momento di fare un passo in avanti e mettere finalmente per iscritto un programma completo, che non fosse solo una lista di punti, ma una visione politica complessiva. Ci siamo dunque posti diverse do- mande, sulle priorità del Paese, su quali potenzialità abbia l’Italia, su che futuro immaginiamo, su quale profilo debba avere e cosa debba dire una forza che oggi voglia rompere con la miseria dell’esistente. Il gruppo incaricato di redigere materialmente il programma ha raccolto le suggestioni provenienti da tante as- semblee territoriali e questo primo giro di consultazioni è diventato, nell’ottobre 2024, una bozza di sole dieci pagine, per dare modo alla discussione di aprirsi.

Questo primo documento, licenziato dopo controlli e integrazioni del Co- ordinamento Nazionale, è stato inoltrato alle assemblee territoriali, che hanno avuto più di un mese per discuterne. La risposta è stata incredibile: sono arrivati oltre 50 corposi testi, con integrazioni, dubbi, elementi di visione, ragionamenti ampi e proposte concrete. Alcune assemblee avevano una competenza estrema in un settore, maturata in una lotta o una vertenza, ed erano in grado di suggeri- re precisamente come articolare un punto. Altre avevano al loro interno esperti di livello nazionale, riconosciuti da università e centri di ricerca. Altre ancora erano formate da giovani, da persone precarie o in vario modo oppresse, ed erano in grado di formulare con precisione delle richieste o di farci vedere qual

è l’effetto di parole che apparentemente sembrano pacifiche.
Il gruppo estensore del programma ha organizzato e dato forma a tutti que- sti suggerimenti ed è tornato sulla prima bozza, inserendo quello che era un oggettivo arricchimento, bilanciando tra le differenti esigenze che rispecchia- no a volte differenti esperienze o appartenenze territoriali, tipiche di un Paese frammentato come quello italiano. Il 7-8 dicembre 2024 ci siamo incontrati di nuovo, a Roma, in una grande assemblea nazionale con delegate e delegati per ognuna delle nostre oltre 50 assemblee territoriali. Divisi su tavoli di lavoro, abbiamo discusso i documenti e i suggerimenti, e da tutto questo lavoro è stata tratta una seconda bozza, stavolta più corposa, di 30 pagine, molto più ricca in

termini di sezione e di proposte e che integrava le discussioni in presenza. Questa seconda bozza, elaborata a gennaio, è stata di nuovo verificata dal Coordinamento Nazionale e inviata ai territori. Ai quali stavolta è stato chiesto di esprimersi con un questionario che indicasse in maniera puntuale cosa fun- zionava e cosa no, quali punti andare a rafforzare e soprattutto quali proposte articolare in maniera prioritaria tra i lunghi elenchi suggeriti. Da questo ultimo giro di consultazione è nata questa terza stesura, sottoposta per un ultimo con-

trollo ai nostri organi nazionali.
È dunque questa la versione finale del nostro programma? No! Come vedrete,

sin dalla copertina, abbiamo voluto precisare che si tratta di un’“edizione pilota”. Il testo che avete tra le mani è infatti una sorta di bozza pubblica il cui primo scopo è guidarci nel dibattito, portarci ad esplorare nuove risposte, soprattutto esserci utile al confronto con un mondo esterno al nostro. Tutto il lavoro è stato infatti condotto per il momento in maniera sì collettiva – e già questo è un miracolo rispetto a come ci abituano a lavorare con i prodotti intellettuali –, ma questa collettività è ancora quella di Potere al Popolo!. Invece noi non intendiamo la nostra comunità come qualcosa di chiuso, ci sentiamo parte del “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Per questo motivo vogliamo ora sottoporre questo testo a comitati, associazioni, gruppi, collettivi, movimenti sociali, sindacati, esperti esterni e anche organizzazioni politiche al- leate, in Italia e in Europa, insomma a tutte e tutti quelli che lottando e vivendo in prima persona le contraddizioni, ma anche avendo uno sguardo più ampio perché osservano i fenomeni nella loro totalità, possano aiutarci a ricostruire dai nostri frammenti di esperienza e di percezione, un quadro completo.

Non sempre in queste pagine avremo trovato la quadra migliore, né siamo riusciti a “risolvere” tutto. C’è ancora bisogno di riflettere – perché bisogna essere umili e non si può pensare che in un programma si risolvano proble-

mi accumulati per decenni o questioni che sono appena emerse e che bisogna studiare. Soprattutto, c’è da farlo collettivamente, perché un programma è l’e- spressione della maturazione di un movimento reale e di una formazione dei militanti, e possiamo scrivere le cose più intelligenti del mondo ma restano solo sulla carta se non sono capite, sentite, se non diventano la carne del nostro agire quotidiano.

Per questo chiediamo a tutte e tutti, dentro e fuori Potere al Popolo!, di partecipare con noi a una quarta, grande scrittura, che diventerà un vero e pro- prio libro nel corso dei prossimi mesi. Portate queste pagine dai soggetti che vorremmo mobilitare, che vorremmo fossero rappresentati in politica, sottopo- nete queste pagine senza paura alla discussione, meditiamole noi stessi a fondo, facciamole diventare la base di una nuova identità politica, che sappia lottare implacabilmente contro le ingiustizie, senza cedere a opportunismi, ma che sap- pia anche essere gentile, parlare a tutte le persone come noi, trovare il piacere nella lotta, conquistare l’armonia ovunque, tra gli umani, tra gli umani e le loro macchine, tra gli umani e il pianeta e l’universo che li sovrasta.

3. PER UNA VITA LIBERA E BELLA

PARTE I

La nostra convinzione è che la politica deve servire a costruire una vita migliore per tutte e tutti. A partire innanzitutto da chi nella nostra società sta peggio. Qualsiasi politica che non metta le persone in grado di essere libere, autonome, che vuol dire non solo non soffrire la fame o il freddo, o non essere ricattate o oppresse, ma anche potersi dedicare a sviluppare le proprie passioni, i propri piaceri, decidendo insieme agli altri cosa è meglio per tutti – qualsiasi politica che non lavori per questo, va rifiutata con forza.

I liberisti che sono stati al governo praticamente ovunque in questi decen- ni si sono riempiti la bocca della parola libertà. L’hanno usata per ingannarci. L’hanno insozzata. La libertà che intendono è quella di avere proprietà enormi prodotte con lo sfruttamento degli altri, è di muoversi in jet privato mentre noi respiriamo i loro gas, di spostare fabbriche e capitali dove vogliono facendo fra- nare economie e territori. La loro libertà è l’arbitrio del più forte, l’indifferenza ai destini degli altri. E non c’è bellezza nel loro mondo. C’è miseria, c’è dolore, ci sono le immense discariche dei rifiuti occidentali nei paesi africani, ci sono i volti di plastica, i sorrisi finti, l’arte prodotta in serie.

Noi rivendichiamo una vera libertà, quella che non vede l’altro essere umano come un limite alla propria azione, come un concorrente o una minaccia, ma come una possibilità. La nostra realizzazione passa attraverso gli altri, non solo per l’amore o il riconoscimento che ci possono dare, ma perché persino il no- stro pensiero, strutturandosi attraverso un linguaggio intersoggettivo, dimostra la presenza degli altri in noi. Siamo individui sociali, come ricorda Marx. Ed è sbagliato contrapporre, come strumentalmente fanno i liberisti, la libertà all’u- guaglianza. L’una non esiste senza l’altra. Se non si è uguali, uno sarà padrone e l’altro servo; se non si è liberi, l’uguaglianza non avrà alcun valore perché ci sarà sempre qualcuno che sarà più uguale di altri. La vita libera e bella che noi vogliamo qui e ora, perché abbiamo una sola chance su questa terra, sta esatta-

mente nell’autonomia, nel non avere padroni che ci ricattino per farci fare quello che dicono loro, nel non subire leggi o discorsi imposti senza poterli discutere o assumerli insieme, nel non avere paura, né della fame né dell’autorità, nel poter avere non solo il pane, ma anche le rose.

Se guardiamo da questo punto di vista la situazione italiana, cosa vediamo? Innanzitutto che la povertà è in crescita per larghe fette della popolazione. E questo a causa del fatto che – anche nel nostro Paese come nel resto del mon- do “occidentale” – i ricchi diventano sempre più ricchi. Ma non è solo questo. Anche chi riesce ad avere un lavoro sta sempre peggio: siamo l’unico Paese con i salari bloccati da 30 anni e con gli orari di lavoro tra i più alti in Europa. Braccianti, operai, lavoratori dei trasporti e dei servizi ma ormai anche impiega- ti, medici e infermieri, insegnanti e ricercatori, lavorano con pressione sempre maggiore, logorando il loro fisico e la loro mente, togliendo tempo alle relazioni personali, alla cultura, al piacere. Lo stesso accade a un esercito di finte partite IVA, tenuta ognuna in condizione di sottomissione da un solo committente, senza poter accedere a ferie o maternità… O a tanti piccoli lavoratori autonomi, costretti a tenere aperta un’attività che non regge la competizione con le mul- tinazionali, solo perché non trovano un’alternativa valida, dignitosa e che non li condanni alla miseria. La situazione dei giovani è particolarmente aberrante in Italia, Paese da cui negli ultimi quindici anni molti di loro sono fuggiti, per la mancanza di lavoro, per i bassi salari, per lo scarso riconoscimento sul posto di lavoro, per il rifiuto di gerarchie prive di senso, per un percorso infinito di formazione (scuola, chi può università, master, stage, tirocini) che li rende di- pendenti per anni dalle famiglie e – se tutto va bene – li porterà a guadagnare meno dei loro genitori e a non vedere mai la pensione.

Ma tutto questo pesa – non dovremmo mai dimenticarlo – in una maniera spaventosa sulle donne. Innanzitutto perché sono messe in una condizione di maggiore dipendenza, perché non lavorano, perché se lo fanno devono accet- tare contratti part time oppure full time che hanno complessivamente salari e qualifiche minori. Anche ora che hanno superato gli uomini dal punto di vista del titolo di studio. Il mondo del lavoro è strutturato sulle modalità e i ritmi ma- schili, ai quali le donne hanno dovuto adattarsi forzatamente. Gravate principal- mente dal lavoro di cura, costrette spesso a scegliere tra lavoro e famiglia, sono obbligate a lavorare con rapporti di dipendenza inaccettabili, che si trasformano spesso in violenza.

Come violenta è la vita che fanno ogni giorno le persone migranti e i loro figli in Italia. Sopravvissuti a un viaggio terribile, finisco a riempire i nostri campi, i

nostri cantieri, le fabbriche dove caporali, padroncini e imprese italiane usano i loro corpi per estrarre la ricchezza. Vessate sul posto di lavoro, ingannate per la loro poca conoscenza della lingua e dei loro diritti da gente senza scrupoli, le persone migranti in Italia vengono ricattate dal sistema istituzionale che, la- vorando di concerto con gli imprenditori, esige il permesso di soggiorno. E, se qualcosa va storto, incarcera e deporta. E quando pure la trafila è stata fortuna- ta, c’è il permesso, c’è il lavoro, queste persone vengono sempre tenute ai mar- gini della vita sociale, razzializzate, caricate di pregiudizi. Punite per non avere sangue italiano, ai loro figli viene negata per anni e anni la cittadinanza, anche se parlano italiano, studiano in Italia, aiutano questo Paese ad avanzare. Vengono ricordati solo quando compiono imprese sportive, e anche lì devono sentire la morale e qualcuno che ricorda che “non esistono neri italiani”.

Che vita libera è mai questa? Dov’è il merito di cui parlano i liberisti? Dove sarebbe l’ordine e la legge di cui una volta parlavano i fascisti? Questo disordine, questo odio, questa bruttezza è esattamente il mondo che produce il capitalismo, e le sue belle parole non sono altro che dei fiori finti messi ad addobbare la catena.

E infatti, nonostante tutti questi sacrifici, spesso non si riesce ad arrivare alla fine del mese. Si è obbligati a vivere in case malsane, a indebitarsi fino all’osso per pagarle. Si è spesso obbligati a dover lasciare la propria comunità, a cambia- re quartiere e addirittura città, perché i prezzi sono troppo alti, l’edilizia popo- lare assente, i nostri centri storici confiscati da speculatori e palazzinari. Si deve scegliere tra fare un esame medico, curarsi, o dover pagare l’istruzione ai figli.

Tutto questo è ormai risaputo e comprovato da mille analisi. Quello che però nessuno dice – perché lamentarsi non costa molto, provare a cambiare le cose sì – è che questa situazione non è ineluttabile! Quello che ci presentano come un destino, per cui molti pensano di scappare da questo Paese o di fare figli all’estero, è frutto di una scelta delle classi dominanti italiane e della destra e del centrosinistra che ne hanno rappresentato le istanze. Per questo non possiamo accontentarci del “meno peggio” che poi è sempre il peggio. Ma dobbiamo aprire una strada nuova.

Per tantissimi di noi che soffrono di fatica e di ansia, c’è un pugno di pro- prietari di rendite e capitali, di evasori, di padroni e padroncini, che accumulano denaro, che lo spendono in lussi sfrenati, che trovano il tempo anche per farci la morale. Ecco, le proposte di Potere al Popolo! mirano a togliere a questo pugno di persone i loro privilegi, a mettere i nostri diritti prima dei loro profitti. Ad aprire spazi di libertà e a rendere più belle le nostre vite, che vanno emancipate dalla paura e messe in condizione di godere, di creare, di gioire della bellezza.

3.1 Lavoro

Quante volte abbiamo sentito che “gli italiani non hanno voglia di lavorare”? Quest’accusa è stata usata negli anni per nascondere quello che è un mondo del lavoro in rovina, senza diritti né garanzie per il futuro, e per giustificare politiche del lavoro criminali, volte a eliminare sempre di più le garanzie e tutele della classe lavoratrice a favore dei privati e dei loro profitti.

E infatti, se analizziamo bene gli ultimi dati disponibili (novembre 2024), che certificano una bassa percentuale di disoccupati nell’area OCSE e in Italia (5,9%, 5,7%), vediamo che si nasconde il generale allungamento dell’età pen- sionabile, l’alto livello di disoccupazione giovanile (intorno al 20%, 19,2% in Italia), l’aumento della quota degli inattivi (oltre un terzo della popolazione in età da lavoro non lavora e non lo cerca), la stagnazione del numero di occupati (intorno al 62%). Chi lavora lo fa per tante ore all’anno: in Italia nel 2022 erano 1726, quasi 200 ore sopra la media UE, quasi 400 in più della Germania (1347). I settori in cui si lavora sono sempre più a basso valore aggiunto, con un alto livello di precarietà, senza contare una diffusione del lavoro nero o grigio che non ha pari in Europa e che in alcune aree del Paese è la forma normale del rap- porto di lavoro…

In un mercato del lavoro del genere, l’ovvia, tragica conseguenza è la morte: mille persone non sono tornate a casa dal loro luogo di lavoro nei primi undici mesi del 2024, in crescita del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023, anche grazie al depotenziamento degli ispettorati, al mancato sanzionamento degli ille- citi e ad altri piccoli regali che il Governo Meloni ha fatto alle imprese.

Eppure non deve andare per forza così. Già ora ci sono le risorse, le profes- sionalità e le capacità per lavorare in condizioni degne e in sicurezza. Le inno- vazioni tecnologiche e la scienza ci hanno fornito strumenti che ci potrebbero permettere di attuare processi lavorativi meno inquinanti verso la natura e meno pesanti per noi, il punto sta nell’utilizzarli per il benessere di tutte e tutti e non per il profitto di pochi.

Vogliamo un lavoro che ci faccia sentire parte della comunità in cui viviamo, mettendo a servizio le nostre competenze per un miglioramento della qualità della vita di tutte e tutti.

Vogliamo una paga dignitosa. Un’ora del nostro lavoro produceva, nel 2023, in media 43€ di ricchezza netta (ns. elaborazione su dati AMECO): teniamo ben impressa in mente questa cifra quando ci dicono che è impensabile un salario minimo di 10€ l’ora!

Vogliamo dedicare un tempo ragionevole all’attività lavorativa, che ci per- metta di avere del tempo libero per dedicarci ad altre nostre passioni, alle rela- zioni interpersonali, allo sport, alla famiglia. Ci sono già vari esempi in Europa, come ad esempio la Spagna, l’Islanda o la Gran Bretagna, che hanno speri- mentato la settimana di 4 giorni lavorativi, riscontrando risultati positivi sia dal punto di vista del benessere dei lavoratori che della produzione: si può fare e lo vogliamo fare anche noi!

Quello che vogliamo è un lavoro che metta al centro le lavoratrici e i lavora- tori e soprattutto i bisogni della maggioranza delle persone, perché siamo noi, con la nostra fatica, a portare avanti questo Paese.

Che cosa proponiamo
  • Combattere la disoccupazione: 
  • Garantire lavoro pubblico contro la disoccupazione: lo Stato e gli enti locali impieghino gli occupabili, sulla base delle competenze e inclinazioni, diventando un datore di lavoro di ultima istanza; 
  • Obbligo di rimpiazzo del personale in servizio da più di 3 anni eventualmente dimissionario, obbligo di turnover per i pensionamenti;
  • Rafforzare i Centri per l’Impiego, rendendoli di competenza e gestione statale e stabilendo che l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro è una funzione pubblica e non può essere affidata alle agenzie private;
  • Aumentare le assunzioni nella Pubblica Amministrazione: ultima in Europa, l’Italia ha solo 5,7 dipendenti pubblici per 100 abitanti contro gli 8,3 della Francia (fonte Sole24Ore). Con questi numeri il Paese non sta in piedi, mentre servirebbero molti nuovi assunti non solo per l’ordinaria amministrazione, ma per rilanciare il ruolo dello Stato come motore dell’innovazione, guida della rivoluzione ecologica, garante del benessere sociale;
  • Combattere il precariato: 
  • Stabilizzare tutti i precari e le precarie impedendo nuove assunzioni a tempo determinato, o prevedendo comunque l’obbligo della stabilizzazione dopo 3 anni di lavoro presso la PA;
  • Reintrodurre le causali tassativamente determinate dall’art. 1 della legge n. 230 del 1962 per l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato (per lavoro stagionale, sostitutivo o a carattere straordinario o occasionale);
  • Limitare l’utilizzo dei contratti a termine e del part-time non volontario al 10% sul totale dei rapporti di lavoro dell’impresa e vietare il lavoro in somministrazione, gli stage e i tirocini, ricomprendendo le esigenze formative nel periodo di prova;
  • Migliori condizioni di lavoro: 
  • Avviare un piano per l’introduzione di una settimana lavorativa di 32 ore su 4 giorni senza diminuzione della retribuzione;
  • Ripristinare la centralità normativa dello Statuto dei Lavoratori, a partire dalla versione originaria dell’articolo 18 contro il licenziamento, estendendone le tutele anche a chi lavora nelle piccole imprese e agli autonomi e cancellando integralmente il Job’s Act;
  • Cancellare l’articolo 8 della legge 148 del 2011 che dà alle aziende la possibilità di peggiorare la contrattazione nazionale e il cosiddetto Collegato Lavoro;
  • Stabilire che l’inquadramento deve fare obbligatoriamente riferimento ai livelli previsti dai CCNL, senza possibilità di modifica, se non in melius in contrattazione privata;
  • Ripristinare le chiusure domenicali, festive e notturne della grande distribuzione organizzata;
  • Imporre il pagamento del 100% di ferie, festività e permessi retribuiti a dipendente in caso di violazione dell’obbligo di godimento;
  • Introdurre la causale giustificativa dei ritardi in caso di problemi ai mezzi di trasporto;
  • Introdurre l’assenza giustificata per allerta meteo (arancione e rossa nei casi di pioggia e per ondate di calore e caldo estremo);
  • Estendere le ferie minime obbligatorie a 6 settimane annue, con possibilità di frazionamento o continuità su richiesta delle lavoratrici e dei lavoratori;
  • Istituire l’8 marzo come giornata di festività nazionale, con chiusura delle attività lavorative e retribuzione ordinaria, per celebrare la Giornata Internazionale contro le discriminazioni di genere e promuovere l’uguaglianza di genere;
  • Introdurre almeno un giorno settimanale di lavoro da remoto, per tutte le professioni che lo consentono, riducendo l’impatto ambientale del pendolarismo;
  • Introdurre permessi retribuiti per il benessere psicofisico del lavoratore, con possibilità di richiederli senza giustificazioni specifiche fino a un massimo di 12 giorni annui;
  • Introdurre congedi parentali estesi a 16 mesi complessivi, come previsti dal modello svedese, fruibili in modo paritario tra i genitori, retribuiti al 100% per il primo anno e al 75% per il secondo, con la possibilità di estensione in caso di necessità specifiche, come minori con disabilità, flessibile fino ai 12 anni di vita del minore;
  • Aumentare il novero dei lavori usuranti;
  • Controlli e sicurezza: 
  • Eliminare il rapporto di lavoro para-subordinato e contrastare il fenomeno delle finte partite IVA e delle cripto-subordinazioni, prevedendo l’immediata trasformazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in caso di violazione; 
  • Prevedere l’assunzione a tempo pieno e indeterminato in caso di violazione dei limiti di percentuale imposti per l’assunzione a tempo determinato e del part-time non volontario o di falsificazione del carattere volontario del part-time;
  • Generalizzare l’utilizzo dei marcatempo e istituire la possibilità per il personale ispettivo pubblico di accedere al database delle marcature;
  • Prevedere la possibilità di esproprio e nazionalizzazione dell’attività per gravi contravvenzioni (traffico illecito rifiuti, gravi evasioni fiscali, mafia, gravi inadempienze di sicurezza sul lavoro);
  • Potenziare l’Ispettorato del Lavoro e l’Inail, attraverso almeno 10.000 nuove assunzioni, con maggiori controlli a sorpresa anche tramite l’utilizzo dei diversi corpi delle forze dell’ordine e maggiori strumenti per la raccolta e l’analisi delle segnalazioni anonime;
  • Rendere intercomunicanti e interoperabili le varie banche dati INPS, INAIL, INL, ASL, per consentire a operatrici e operatori di effettuare in qualunque momento controlli incrociati;
  • Cancellare le recenti riforme (ad esempio il cosiddetto Decreto Lavoro) che attenuano o eliminano le sanzioni alle imprese;
  • Istituire il reato di omicidio sul lavoro;
  • Rafforzare le pene per l’imposizione di straordinari non pagati e lavoro grigio e nero e prevedere la responsabilità in solido della stazione appaltante;
  • Definire il lavoro irregolare come condotta anti-sindacale, per dare modo alle OO.SS. di presentare denuncia e favorire l’emersione;
  • Introdurre un sistema sanzionatorio sui rischi per la salute, che consenta ai lavoratori di esercitare vigilanza (includendo le violenze di carattere psicologico, riconoscendo le malattie professionali legate a rischi psicosociali);
  • Aumentare i poteri dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS);
  • Garantire l’effettiva autonomia del medico competente, che dev’essere dell’ASL o dell’INPS. La sorveglianza periodica sanitaria va effettuata in struttura pubblica con costi a carico delle aziende;
  • Contrastare il ddl 1532 bis (equiparazione tra assenza ingiustificata per cinque giorni e dimissioni volontarie);
  • Abolire le norme repressive contenute nel Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici a partire dagli artt. 11-bis e 11-ter.
  • Internalizzazione e appalti: 
  • Reinternalizzare i servizi pubblici, limitando il ricorso agli appalti, vietando i subappalti, favorendo le imprese che garantiscono le migliori condizioni lavorative e salariali e prevedendo percorsi per l’assunzione in pianta stabile di tutti i lavoratori occupati;
  • Diritti sindacali: 
  • Superare l’attuale accordo sulla rappresentanza sindacale in quanto antidemocratico e prevedere una legge di attuazione dell’art. 39 comma 4 della Costituzione italiana che stabilisca criteri realmente democratici per il calcolo della rappresentatività senza subordinare ad esso, come avviene oggi, il libero e pieno esercizio di tutti i diritti sindacali (assemblee in orario di lavoro, permessi, etc.);
  • Cancellare la legge 146/1990 e tutte le limitazioni successive al diritto di sciopero;

3.2 Salute

Quante volte abbiamo sentito che “gli italiani non hanno voglia di lavorare”? Quest’accusa è stata usata negli anni per nascondere quello che è un mondo del lavoro in rovina, senza diritti né garanzie per il futuro, e per giustificare politiche del lavoro criminali, volte a eliminare sempre di più le garanzie e tutele della classe lavoratrice a favore dei privati e dei loro profitti.

E infatti, se analizziamo bene gli ultimi dati disponibili (novembre 2024), che certificano una bassa percentuale di disoccupati nell’area OCSE e in Italia (5,9%, 5,7%), vediamo che si nasconde il generale allungamento dell’età pen- sionabile, l’alto livello di disoccupazione giovanile (intorno al 20%, 19,2% in Italia), l’aumento della quota degli inattivi (oltre un terzo della popolazione in età da lavoro non lavora e non lo cerca), la stagnazione del numero di occupati (intorno al 62%). Chi lavora lo fa per tante ore all’anno: in Italia nel 2022 erano 1726, quasi 200 ore sopra la media UE, quasi 400 in più della Germania (1347). I settori in cui si lavora sono sempre più a basso valore aggiunto, con un alto livello di precarietà, senza contare una diffusione del lavoro nero o grigio che non ha pari in Europa e che in alcune aree del Paese è la forma normale del rap- porto di lavoro…

In un mercato del lavoro del genere, l’ovvia, tragica conseguenza è la morte: mille persone non sono tornate a casa dal loro luogo di lavoro nei primi undici mesi del 2024, in crescita del 3,3% rispetto allo stesso periodo del 2023, anche grazie al depotenziamento degli ispettorati, al mancato sanzionamento degli ille- citi e ad altri piccoli regali che il Governo Meloni ha fatto alle imprese.

Eppure non deve andare per forza così. Già ora ci sono le risorse, le profes- sionalità e le capacità per lavorare in condizioni degne e in sicurezza. Le inno- vazioni tecnologiche e la scienza ci hanno fornito strumenti che ci potrebbero permettere di attuare processi lavorativi meno inquinanti verso la natura e meno pesanti per noi, il punto sta nell’utilizzarli per il benessere di tutte e tutti e non per il profitto di pochi.

Vogliamo un lavoro che ci faccia sentire parte della comunità in cui viviamo, mettendo a servizio le nostre competenze per un miglioramento della qualità della vita di tutte e tutti.

Vogliamo una paga dignitosa. Un’ora del nostro lavoro produceva, nel 2023, in media 43€ di ricchezza netta (ns. elaborazione su dati AMECO): teniamo ben impressa in mente questa cifra quando ci dicono che è impensabile un salario minimo di 10€ l’ora!

Vogliamo dedicare un tempo ragionevole all’attività lavorativa, che ci per- metta di avere del tempo libero per dedicarci ad altre nostre passioni, alle rela- zioni interpersonali, allo sport, alla famiglia. Ci sono già vari esempi in Europa, come ad esempio la Spagna, l’Islanda o la Gran Bretagna, che hanno speri- mentato la settimana di 4 giorni lavorativi, riscontrando risultati positivi sia dal punto di vista del benessere dei lavoratori che della produzione: si può fare e lo vogliamo fare anche noi!

Quello che vogliamo è un lavoro che metta al centro le lavoratrici e i lavora- tori e soprattutto i bisogni della maggioranza delle persone, perché siamo noi, con la nostra fatica, a portare avanti questo Paese.

Che cosa proponiamo
  • Combattere la disoccupazione:
  • Garantire lavoro pubblico contro la disoccupazione: lo Stato e gli enti locali impieghino gli occupabili, sulla base delle competenze e inclinazioni, diventando un datore di lavoro di ultima istanza;
  • Obbligo di rimpiazzo del personale in servizio da più di 3 anni eventualmente dimissionario, obbligo di turnover per i pensionamenti;
  • Rafforzare i Centri per l’Impiego, rendendoli di competenza e gestione statale e stabilendo che l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro è una funzione pubblica e non può essere affidata alle agenzie private;
  • Aumentare le assunzioni nella Pubblica Amministrazione: ultima in Europa, l’Italia ha solo 5,7 dipendenti pubblici per 100 abitanti contro gli 8,3 della Francia (fonte Sole24Ore). Con questi numeri il Paese non sta in piedi, mentre servirebbero molti nuovi assunti non solo per l’ordinaria amministrazione, ma per rilanciare il ruolo dello Stato come motore dell’innovazione, guida della rivoluzione ecologica, garante del benessere sociale;
  • Combattere il precariato:
  • Stabilizzare tutti i precari e le precarie impedendo nuove assunzioni a tempo determinato, o prevedendo comunque l’obbligo della stabilizzazione dopo 3 anni di lavoro presso la PA;
  • Reintrodurre le causali tassativamente determinate dall’art. 1 della legge n. 230 del 1962 per l’utilizzo dei contratti di lavoro a tempo determinato (per lavoro stagionale, sostitutivo o a carattere straordinario o occasionale);
  • Limitare l’utilizzo dei contratti a termine e del part-time non volontario al 10% sul totale dei rapporti di lavoro dell’impresa e vietare il lavoro in somministrazione, gli stage e i tirocini, ricomprendendo le esigenze formative nel periodo di prova;
  • Migliori condizioni di lavoro:
  • Avviare un piano per l’introduzione di una settimana lavorativa di 32 ore su 4 giorni senza diminuzione della retribuzione;
  • Ripristinare la centralità normativa dello Statuto dei Lavoratori, a partire dalla versione originaria dell’articolo 18 contro il licenziamento, estendendone le tutele anche a chi lavora nelle piccole imprese e agli autonomi e cancellando integralmente il Job’s Act;
  • Cancellare l’articolo 8 della legge 148 del 2011 che dà alle aziende la possibilità di peggiorare la contrattazione nazionale e il cosiddetto Collegato Lavoro;
  • Stabilire che l’inquadramento deve fare obbligatoriamente riferimento ai livelli previsti dai CCNL, senza possibilità di modifica, se non in melius in contrattazione privata;
  • Ripristinare le chiusure domenicali, festive e notturne della grande distribuzione organizzata;
  • Imporre il pagamento del 100% di ferie, festività e permessi retribuiti a dipendente in caso di violazione dell’obbligo di godimento;
  • Introdurre la causale giustificativa dei ritardi in caso di problemi ai mezzi di trasporto;
  • Introdurre l’assenza giustificata per allerta meteo (arancione e rossa nei casi di pioggia e per ondate di calore e caldo estremo);
  • Estendere le ferie minime obbligatorie a 6 settimane annue, con possibilità di frazionamento o continuità su richiesta delle lavoratrici e dei lavoratori;
  • Istituire l’8 marzo come giornata di festività nazionale, con chiusura delle attività lavorative e retribuzione ordinaria, per celebrare la Giornata Internazionale contro le discriminazioni di genere e promuovere l’uguaglianza di genere;
  • Introdurre almeno un giorno settimanale di lavoro da remoto, per tutte le professioni che lo consentono, riducendo l’impatto ambientale del pendolarismo;
  • Introdurre permessi retribuiti per il benessere psicofisico del lavoratore, con possibilità di richiederli senza giustificazioni specifiche fino a un massimo di 12 giorni annui;
  • Introdurre congedi parentali estesi a 16 mesi complessivi, come previsti dal modello svedese, fruibili in modo paritario tra i genitori, retribuiti al 100% per il primo anno e al 75% per il secondo, con la possibilità di estensione in caso di necessità specifiche, come minori con disabilità, flessibile fino ai 12 anni di vita del minore;
  • Aumentare il novero dei lavori usuranti;
  • Controlli e sicurezza:
  • Eliminare il rapporto di lavoro para-subordinato e contrastare il fenomeno delle finte partite IVA e delle cripto-subordinazioni, prevedendo l’immediata trasformazione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in caso di violazione;
  • Prevedere l’assunzione a tempo pieno e indeterminato in caso di violazione dei limiti di percentuale imposti per l’assunzione a tempo determinato e del part-time non volontario o di falsificazione del carattere volontario del part-time;
  • Generalizzare l’utilizzo dei marcatempo e istituire la possibilità per il personale ispettivo pubblico di accedere al database delle marcature;
  • Prevedere la possibilità di esproprio e nazionalizzazione dell’attività per gravi contravvenzioni (traffico illecito rifiuti, gravi evasioni fiscali, mafia, gravi inadempienze di sicurezza sul lavoro);
  • Potenziare l’Ispettorato del Lavoro e l’Inail, attraverso almeno 10.000 nuove assunzioni, con maggiori controlli a sorpresa anche tramite l’utilizzo dei diversi corpi delle forze dell’ordine e maggiori strumenti per la raccolta e l’analisi delle segnalazioni anonime;
  • Rendere intercomunicanti e interoperabili le varie banche dati INPS, INAIL, INL, ASL, per consentire a operatrici e operatori di effettuare in qualunque momento controlli incrociati;
  • Cancellare le recenti riforme (ad esempio il cosiddetto Decreto Lavoro) che attenuano o eliminano le sanzioni alle imprese;
  • Istituire il reato di omicidio sul lavoro;
  • Rafforzare le pene per l’imposizione di straordinari non pagati e lavoro grigio e nero e prevedere la responsabilità in solido della stazione appaltante;
  • Definire il lavoro irregolare come condotta anti-sindacale, per dare modo alle OO.SS. di presentare denuncia e favorire l’emersione;
  • Introdurre un sistema sanzionatorio sui rischi per la salute, che consenta ai lavoratori di esercitare vigilanza (includendo le violenze di carattere psicologico, riconoscendo le malattie professionali legate a rischi psicosociali);
  • Aumentare i poteri dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS);
  • Garantire l’effettiva autonomia del medico competente, che dev’essere dell’ASL o dell’INPS. La sorveglianza periodica sanitaria va effettuata in struttura pubblica con costi a carico delle aziende;
  • Contrastare il ddl 1532 bis (equiparazione tra assenza ingiustificata per cinque giorni e dimissioni volontarie);
  • Abolire le norme repressive contenute nel Codice di Comportamento dei dipendenti pubblici a partire dagli artt. 11-bis e 11-ter.
  • Internalizzazione e appalti:
  • Reinternalizzare i servizi pubblici, limitando il ricorso agli appalti, vietando i subappalti, favorendo le imprese che garantiscono le migliori condizioni lavorative e salariali e prevedendo percorsi per l’assunzione in pianta stabile di tutti i lavoratori occupati;
  • Diritti sindacali:
  • Superare l’attuale accordo sulla rappresentanza sindacale in quanto antidemocratico e prevedere una legge di attuazione dell’art. 39 comma 4 della Costituzione italiana che stabilisca criteri realmente democratici per il calcolo della rappresentatività senza subordinare ad esso, come avviene oggi, il libero e pieno esercizio di tutti i diritti sindacali (assemblee in orario di lavoro, permessi, etc.);
  • Cancellare la legge 146/1990 e tutte le limitazioni successive al diritto di sciopero;
vuoi dare il tuo contributo?

Trova l’assemblea più vicina a te! Metti in rete il tuo talento per cambiare le cose dal basso!

Restiamo in contatto! Segui le nostre attività e quel che pensiamo con la nostra newsletter

Indice
Scarica in PDF