La concomitanza tra la manifestazione nazionale di Roma e la mobilitazione “No Ponte” a Messina non è una casualità. È la fotografia di una crisi sistemica che sta esplodendo su fronti diversi ma collegati. Questo doppio appuntamento è un’occasione politica per chi vuole trasformare la protesta in un progetto di potere popolare.
La lotta contro il Ponte non può essere ridotta solamente a una questione ambientale o localistica, perchè rappresenterebbe un errore strategico. Il Ponte è l’emblema del neocolonialismo interno che oggi assume la forma del neoliberismo.
Spreco di risorse pubbliche in Grandi Opere mentre crollano la sanità e la scuola.
Devastazione ambientale a beneficio delle lobby del cemento e della finanza.
Attacco di classe che, sotto la retorica del “declino demografico”, maschera la cancellazione dei servizi e la precarizzazione di massa.
A questo si aggiunge un pericolo concreto e strutturale: l’infiltrazione mafiosa. Come dimostra il precedente dell’asse Salerno-Reggio Calabria, le Grandi Opere sono un moltiplicatore di corruzione e un banchetto per le cosche, che attraverso appalti, subappalti e controllo del territorio si arricchiscono e consolidano il loro potere. Il Ponte sullo Stretto, con i suoi miliardi di euro, rappresenta il massimo bottino possibile.
È lo stesso modello che produce la Legge di Bilancio della Meloni: una macchina da guerra sociale che taglia i redditi dei poveri, finanzia i profitti dei ricchi e regala miliardi all’industria bellica, mostrando il volto autoritario e razzista di questo sistema.
Il “filo rosso” che unisce Messina a Roma, e la lotta No Ponte alla solidarietà con la Palestina, è la consapevolezza che stiamo combattendo lo stesso sistema.
Il capitalismo che devasta lo Stretto è lo stesso che bombarda Gaza.
Il riarmo della NATO e il sostegno al sionismo sono due facce della stessa medaglia: la crisi di un sistema che cerca profitto nella guerra e nel genocidio.
Le complicità del governo Meloni con il massacro dei palestinesi svelano gli stessi appetiti speculativi delle lobby immobiliari, pronte a “ricostruire” ciò che le bombe hanno distrutto, esattamente come fanno con i territori italiani.
Non è una coincidenza, ma un modello di business. Le stesse grandi aziende italiane di costruzioni e ingegneria (come Webuild, già Salini Impregilo, leader del consorzio per il Ponte) sono in prima fila nei progetti di “ricostruzione” a Gaza, pronti a trasformare un genocidio in un’opportunità di profitto. È la “shock economy” in azione: si sfrutta la devastazione di un territorio, sia essa causata da una bomba o da una decisione politica, per aprire nuovi mercati e intascare soldi pubblici.
Come denuncia l’appello “Blocchiamo Tutto”, siamo di fronte a un “modello di sviluppo fondato sulle grandi opere, sul riarmo, sullo sfruttamento”, un modello che non si può riformare, ma che deve essere fermato e smantellato. La guerra in Palestina, le Grandi Opere, la finanziaria di guerra sono anelli della stessa catena. Non viviamo la stessa tragedia, ma abbiamo gli stessi nemici: il capitale, il fascismo, il riarmo, il sionismo.
La lotta contro il ponte continua a rappresentare la capacità del mezzogiorno di proporre all’intero paese un modello sociale e produttivo diverso per esso, che garantisca lavoro sicuro e onesto, servizi pubblici di qualità, che rendano certi ed esigibili il diritto all’acqua, alla salute, alla scuola.
La lezione di Gramsci è più attuale che mai: il vero conflitto non è Nord contro Sud, ma tra chi subisce il modello di sviluppo capitalista e chi ne trae profitto. Il Mezzogiorno è stato storicamente una colonia interna sfruttata dall’alleanza tra il capitale del Nord e i poteri locali.
Oggi, adottando una prospettiva di classe, la lotta per il territorio diventa lotta per un Piano Pubblico e Popolare che blocchi le Grandi Opere inutili e destini quelle risorse a sanità, scuola, trasporti, salari e pensioni,  che socializzi i settori strategici, togliendoli dalla logica del profitto e che riconverta l’industria bellica in un sistema produttivo al servizio dei bisogni sociali.
La sfida di queste giornate è dimostrare che esiste un’alternativa di sistema. Non ci accontentiamo di protestare; vogliamo cambiare tutto!
Dobbiamo affermare la necessità di unire tutte le lotte: dai movimenti No Ponte ai sindacati di base in sciopero, dai comitati per la casa ai movimenti che lottano contro la devastazione ambientale e sociale della speculazione energetica fino ai movimenti che lottano per la Palestina libera.
L’obiettivo è costruire un blocco sociale antagonista in grado di unire il proletariato metropolitano, le periferie, il Sud e tutti gli sfruttati, per rovesciare l’attuale rapporto di forza e imporre un programma che metta al centro la vita, la pace e i diritti, e non il profitto di pochi.
Per queste  ragioni Potere al Popolo parteciperà alla manifestazione No Ponte del 29 novembre a Messina.
Dallo Stretto a Roma, un solo filo rosso: blocchiamo tutto, per cambiare tutto!